giovedì 19 gennaio 2017

QUELLI DELLA PANDA VERDE

Qualche giorno fa al paesello, in macchina incrocio una panda verde con sulle fiancate la scritta "CARABINIERI". La cosa all'inizio mi genera sorpresa. 'Ma come - mi chiedo - ma i Carabinieri non c'hanno le macchine blu scuro? E poi a Genga i Carabinieri della stazione locale, c'hanno una jeep, l'ho visti al bar due giorni fa!' Poi, ci penso un po', e trovo la risposta a quanto visto. "Ma certo - mi dico - quelli sono gli agenti della Forestale che adesso sono stati accorpati nei Carabinieri: i Carabinieri Forestali. E la prima cosa che mi viene in mente, riguardo ad una scelta fatta in ragione della razionalizzazione dei costi, e dell'efficientamento dello Stato, è che al contrario un primo costo in più quella "riforma" ce l'ha avuto subito: le spese del carrozziere per cambiare la scritta sulle fiancate della Panda. Tutto questo, c'entra qualcosa con quello che sta accadendo sull'Appennino questi mesi ed ultimi giorni, piegato dalla neve e dal terremoto? Si, c'entra eccome, considerata la tragica e straordinaria intensità dei due fenomeni naturali, e la loro concomitanza. Quello a cui assistiamo, e viviamo, è una sorta di ultimo quadro di un'opera tragica di uno Stato, e della sua capacità di prossimità, prontezza ed efficienza verso le difficoltà in cui improvvisamente possono venire a trovarsi le persone ed i territori. Uno Stato animato da buoni propositi e volontà, servito da impagabili e generosi funzionari, ma che gli errori della politica, tutta, perseveranti negli anni, ha reso incapace di funzionare, dirigere, operare; specie nell'emergenza. Un gigante scomposto, disarticolato, in affanno. Questo è il prodotto di un'idea di riforma (si fa per dire), con diversi padri snaturati, delle diverse articolazioni centrali e periferiche dell'organizzazione statale, senza una visione complessiva e un road map, dettate dalla lettura dei territori, dall'ascolto e dal confronto dei cittadini e dei loro bisogni, ma basate esclusivamente sulla rincorsa al facile e immediato consenso politico, al mito della riduzione dei costi e dello spreco, alla lotta alla corruzione e alle opacità. La riduzione ad Enti miserevoli della rete dei Comuni (ho già scritto su questo blog quello che penso della boiata della fusione dei piccoli Municipi), lo smantellamento del ruolo e delle funzioni delle Province, e l’umiliante sballottamento in altre Istituzioni delle loro professionalità, la trasformazione delle Regioni in elefantiaci soggetti sempre di più gestionali, la privatizzazione di fatto di servizi territoriali essenziali, svolgenti anche attività di prevenzione, malcelata in apparenti società pubbliche, ed altro ancora, hanno allontanato lo Stato dai territori e dalle popolazioni, ingigantendo l'incapacità di saper prevenire, amministrare, intervenire con coordinata prontezza. In questo processo, alla fine poi, i vizi che si volevano eliminare sono rimasti tutti, anzi: i costi eccessivi, gli sprechi, i ladri, le opacità e i fannulloni. E quindi poi, drammaticamente, è normale che moduli abitativi definitivi che dovevano arrivare per primavera arriveranno se va bene d'estate, che non si è capaci di improntare in poche settimane e prima che gli animali muoiano gelati, stalle in tensostruttura non il patrimonio bovino delle pampas argentine, ma per poco più di diecimila capi, che si deportino migliaia di persone dall'Appennino alla costa con un viaggio che rischia di essere di sola andata, che venga considerata una struttura di eccellenza un albergo costruito in zona fragilissima dopo che quanti hanno rilasciato permessi e licenze siano già stati condannati per abuso edilizio, e che una slavina si porti via hotel e vite umane, che un amministratore locale con la neve e con le scosse, andando in affanno, decida al contempo di tenere aperte le scuole e allestire il palasport per farci dormire i cittadini, che una bufera di neve riesca a disattivare per giorni decine di migliaia di utenze elettriche nel Centro Italia, e non altrettanto a fare in Alaska. "Chi accusa la Protezione Civile attacca il Sistema Paese" ha detto con emotività l'ing. Fabrizio Curcio. È vero, sono d'accordo con lui, persona seria e perbene. È legittimo però, non solo non tacere, ma cominciare a chiedere il conto, senza demagogia, populismo e giacobinismo, e con nuovi processi di partecipazione e democrazia di base, ai molti che negli anni e in tempi recenti, hanno fatto, per i loro capricci politici e per il consenso fine a se stessi, del Sistema Paese quel gigante Golia che cade in ginocchio quasi esanime di fronte all'ultima scossa sismica e a un nevone previsto da giorni. E che pensa davvero che si migliori la prontezza dello Stato cambiando una scritta sulle fiancate di una Panda. Anche tutto questo è stata ed è #strategiadellabbandono. 



venerdì 6 gennaio 2017

... TUTTE LE FESTE SI PORTA VIA.

Oramai è abbastanza chiaro qual'è la partita che si giocherà nei prossimi tempi sull'Appennino ferito dal terremoto. O meglio, è la ripresa di una partita antica, sospesa e ricominciata più volte negli anni. Il sisma recente ha semplicemente fischiato un nuovo calcio d'avvio. È la sfida tra chi pensa, progetta, lavora perché la montagna sia un luogo dove vivere, crescere e morire, e quanti anche loro pensano, progettano e lavorano perché la montagna diventi definitivamente un luogo spopolato, utile a perseguire interessi economici di pochi, anche opachi, lontano da qualsiasi controllo; tutt'al più un territorio per occasionali vetrine vacanziere e turistiche, in ambienti sterilizzati tipo parco avventura. Dopotutto perché stare a ricostruire tanti piccoli abitati urbani di poche centinaia di persone, che la furia della natura ha raso pressochè al suolo? Non ci sono solo i costi vivi della ricostruzione immediata, ma quelli, enormi, negli anni a venire: servizi alle persone, alle attività economiche, manutenzione del territorio e prevenzione del rischio geomorfologico ed idrogeologico, etc etc... Ma siamo matti? Tutto ciò per qualche migliaia di persone? Meglio accompagnare una loro riconversione del quotidiano da un'altra parte, dove c'è già tutto, e molto, in questi anni di crisi, di avanzo: case, infrastrutture, centri commerciali, etc. Si, ma il lavoro? E perché, in montagna prima del terremoto, c'era il lavoro? E quale? Le pecore, le mucche, un po' di artigianato, qualche trattoria, un po' di affittacamere? Roba da piccoli numeri, il lavoro è un'altra cosa...è le fabbriche, gli uffici, i grandi negozi... E nel corso degli anni, mentre la partita era temporaneamente sospesa, si sono anche cambiate alcune regole del gioco: una legge sui parchi nazionali che indebolisce il concetto di tutela, le fusioni dei piccoli comuni, le grandi infrastrutture stradali (come la Quadrilatero, tanto per fare un esempio) che tagliano fuori le piccole comunità e micro, ma vitali, attività economiche, le riorganizzazioni scolastiche, la razionalizzazione dei presidi sanitari, etc etc. La squadra della #strategiadellabbandono è molto forte, compatta, allenata, pratica schemi collaudati. L'altra formazione, quella "dei partigiani della pelle del mondo", è fatta di contadini, di pastori, di piccoli artigiani, di nuclei familiari che vivono di turismo sostenibile, qualche eccentrico personaggio che dice di essere un artista e 'mangia' con la cultura; una selezione spesso abituata all'individualità piuttosto che al collettivo, a difendersi anziché attaccare... che ha tutte le premesse per prendere un "cappotto" definitivo. Poi ci sono i tifosi sugli spalti, e quelli "tutti allenatori" per un giorno; quelli che hanno passato anni nei convegni sulla montagna e sulle politiche per le aree interne. Di quelli che 'tengono' con la squadra della #strategiadellabbandono non mi interessa molto, l'importante è riconoscerli, perché stanno annidati anche dove meno te lo aspetti. Per tutti noi che 'stiamo' con quelli dell'Appennino, e alcuni di noi sull'Appennino ci stiamo proprio a vivere, adesso che è passata pure l'Epifania, è ora di mettersi in braghe e calzettoni, e giocare assieme ai montanari che in questi ore resistono a - 12°, e agli altri "deportati" (come dicono loro) sulla costa e al lago, questa partita, dal finale non affatto pregiudicato. Perché "questa, è una storia che..." (per dirla alla Lucarelli) ha anche a che fare con la parola democrazia. 

lunedì 2 gennaio 2017

LE MUCCHE DI AGOSTINO

Alle 11 di mattina di una bella giornata limpida e soleggiata di fine 2016, il rilevatore termico della mia dacia sandero segna ancora 1 grado. Ad un certo punto, con la coda dell'occhio, vedo sopra il ciglio della strada un gruppo di mucche; non resisto... faccio inversione, torno indietro e svolto sulla strada laterale che sale e che, dopo trecento metri dal bivio, è chiusa e transennata. 

E già, di lì si saliva per una frazione di Castelsantangelo sul Nera che è completamente crollata, e anche la strada ad un certo punto è rovinata: tutto ora è zona rossa. Ma a me quei pochi metri di strada bastano per scendere dalla macchina, inerpicarmi sulla scarpata, e fare qualche foto alle mucche al pascolo sotto il sole. Quando ridiscendo verso la macchina, sotto la strada c'è un pick-up d'annata con dentro un uomo che mi osserva, un po’ tra l’insospettito e l’incuriosito.

Mi avvicino, lo saluto: 'buongiorno'.

'Che fai - mi chiede scrollando la sigaretta - le mandi ai giornali?’

'No - rispondo sorridendo - non sono un giornalista, è che mi piacciono le mucche, in particolare il muso; sono sue?'

'Si - mi conferma lui - ma qui le cose vanno male fratello, molto male'.

Io in piedi e lui seduto sul pickup col finestrino abbassato e la sigaretta ciondolante, iniziamo una imprevista ed improbabile chiacchierata. Lui, è uno degli otto abitanti che sono rimasti a Castelsantagelo sul Nera, ché sono quelli che c'hanno le bestie e non le possono, e non le hanno volute lasciare. Tutti gli altri sono stati portati "in villeggiatura" sulla costa, in attesa delle casette. Li ho visti, qualche settimana fa sulla costa, aggirarsi disorientati sulla corniche tra palme, panchine e “signorine” dell’Est”. Sguardi spaesati e occhi persi che ti stringono lo stomaco; né “gente di mare”, né “turisti per caso”; solo sfollati del terremoto sull’Appennino.
Anche la moglie e la figlia del proprietario delle mucche sono loro sulla costa. Lui sta da mesi in una roulotte, la sua, ci tiene mettere in chiaro subito. Di notte fa già molto freddo.

'In quattro mesi qui l'unica cosa che ci hanno portato sono i bagni chimici e li hanno messi in paese ai bordi della zona rossa. Devo fare un chilometro per pisciare - adesso è incazzato - e a 71 anni mi capita più di una volta la notte, lo capisci vero? Ti pare normale dopo mesi questa situazione? Qui se va avanti così non ci ritorna più nessuno, che vengono a fare? A cominciare da mia moglie e mia figlia. Diventeranno posti abbandonati. Vogliono che se vanno via tutti'

'Ma tu - gli chiedo - perché resti, solo per le mucche? Quante ne hai, fai latte, formaggio?'

'No, sono poche, quelle che vedi, ma mi servono per arrotondare la pensione, che ci campo con 700 € al mese?'

Ecco, non so proprio cosa rispondergli, è  deluso e arrabbiato, ma né con qualcuno in particolare, né con tutti. È arrabbiato e basta, secondo me ce l'ha con la #strategiadellabbandono, anche se non sa cosa sia, anche se ci combatte da 4 mesi.

Me la cavo con un imbarazzato 'capisco' e con un incoraggiamento semplicemente umano.
Ha il volto stanco, ma gli occhi sono fieri. Non mi ha più risposto sul perché stia lì, oltre che per le mucche. Ma non serve, basta guardarlo negli occhi per capirne il motivo.

Anche lui, per usare un'espressione di Paolo Pileri, nel bel libro "Cosa c'è sotto", è un 'partigiano della pelle del mondo'. Uno dei tanti, sconosciuti e sparsi sui paesi e sull'Appennino. Una moltitudine demograficamente non censibile; che, se il Nemico avesse volto e nome definiti, e loro la tenacia di ritrovarsi anziché rimanere sparpagliati e solitari, si potrebbe mettere insieme un nuovo esercito di Liberazione; Liberazione da tante cose di troppo, in eccesso e sbagliate.


Lui è Agostino, il padrone delle mucche.