martedì 1 marzo 2016

IL TURISMO PETALOSO

Premessa: non sono un esperto di turismo, né mi atteggio a tale, né è settore il mi interessa maggiormente Mi capita però spesso di trovarmi in contesti di varia natura in cui si disquisisce di turismo, di politiche del turismo, di riconversioni turistiche di territori che fino a qualche tempo prima hanno basato la propria economia e socialità su altri settori, e che la crisi ha in pochi anni smantellato. Questo accade in particolare quando la convegnistica del caso, o i tavoli pre-para-intra istituzionali, si interessano della cosiddetta Italia interna. La cosa che più mi colpisce è la poca conoscenza dei luoghi da parte di coloro che pensano e propongono nuove strategie culturali, sociali ed economiche; mi conforta, ma solo parzialmente, il fatto che diversi lo facciano gratis o a rimborso spese. In particolare il deficit più evidente è la mancanza del punto di vista di chi in quel territorio ci vive e lo conosce; non perché sia per forza quello migliore o giusto, anzi, spesso il contrario. Però è quello un osservatorio indispensabile, perché altrimenti il rischio è quello di costruire delle belle fiabe, dei format teorici dal fallimento scontato, e proporre delle pratiche che non tengono per nulla conto, ad esempio, delle contraddizioni spesso storicizzate che hanno segnato un territorio, e su cui chi aveva interessi particolari né ha tratto lauti vantaggi. Capita, come ho avuto modo di verificare, di definire semiabbandonato un borgo, quando al contrario è abitato da bambini, adulti e anziani. Capita di magnificare un sentiero che conduce in un eremo millenario, senza sapere che per arrivarci si deve attraversare una proprietà privata in cui è palesemente vietato l’accesso, e che si rischia di essere denunciati dal proprietario per violazione della proprietà privata. Capita di costruire eventi su temi naturalistici, senza sapere che si esporrà i fruitori alla possibilità di essere abbattuti dalle squadre di cacciatori di cinghiali, che sparano a tutto quel che si muove con carabine a gittata di 3 km. Capita di pensare di indirizzare famigliole in percorsi di trekking senza la consapevolezza che anziché udire i suoni della natura, si rischia di fargli spaccare i timpani e tremare le ginocchia dal boato di una mina di cava. Capita di promuovere la visita ad un sito museale e di stimolare a consumare le tipicità enogastronomiche a km zero, senza sapere che quei visitatori, appena scesi dalla macchina verranno molestati dai volantinatori dei ristoranti del luogo, che si contendono selvaggiamente qualche coperto in più con menù a meno di 10 € tutto compreso, in cui gli unici zero sono quelli della ricevuta fiscale.  E si potrebbe continuare a lungo. Per riconvertire un territorio ad una nuova economia, ed in particolare a quella turistica, forse il primo passo è sapere se gli umani che abitano quel territorio sono d’accordo, e se lo sono, magari coinvolgerli e conoscere per primo la visione di futuro di quelle persone. E pretendere, consapevoli che li si porrà il più delle volte di fronte ad un bivio, alla società organizzata e rappresentata (Istituzioni, categorie economiche e professionali, associazioni), di spendersi, ciascuno per propria funzione e competenza, per rimuovere alcuni conflitti che di fatto, anziché avvicinarli, allontanano i turisti. Ma forse, la vera strategia per riconvertire territori, specialmente nelle aree interne, non è quella di trasformarle in grandi “parchi giochi”, ma quella di creare nuova residenzialità, di offrire opportunità perché queste siano abitate tutto l’anno, che ci siano servizi alle varie età ed attività. Forse anziché di turisti, molti territori hanno semplicemente bisogno di abitanti. Un’impresa titanica rispetto alle capacità della politica e delle Istituzioni, che perseguono, nei territori interni, esclusivamente la strategia della fusione tra Comuni, riducendo solo pratiche democratiche e senza alcun miglioramento dei servizi; ma che in compenso coniano nomi per le nuove municipalità, rispetto alle quali il “petaloso” di un bambino, è già classificabile come un termine arcaico. 

1 commento:

  1. Si parla di valorizzazione delle aree interne, via via depauperandole di servizi fondamentali, di vie di comunicazione, di risorse. Perchè tra il dire e il fare ci sono di mezzo i voti e le aree interne, si sa, di voti ne hanno pochini...

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