sabato 9 gennaio 2016

TRENT'ANNI (o quasi) DOPO...AL PUNTO DI PARTENZA

E già, sono passati quasi trent’anni da quando lessi la “Lettera ai cappellani militari” di Don Lorenzo Milani, che ebbe l’effetto di orientare i miei pensieri di poco più che adolescente, e anche qualche scelta di quegli anni. Ed è il tema, più o meno palese, della disobbedienza, che mi ha colpito di più in una questione del territorio marchigiano di questi giorni: quella dei medici di Fabriano, che continueranno a far partorire in città le donne che vorranno farlo, nonostante i provvedimenti, nazionale e regionale, che hanno chiuso il servizio da inizio anno. Tutti professionisti che, per dirla alla Crozza-Razzi, potrebbero benissimo essere assoggettati al “fatti li cazzi tua”. Sono fondamentalmente i gesti di disobbedienza, personali e collettivi, a partire da quelli di coloro che liberarono l’Italia dal fascismo, che consentono di ripristinare una normalità democratica. Disobbedienza come pratica democratica, quando la politica, e le scelte di quest’ultima, vanno a ridurre diritti e democrazia. Se la politica oggi, e in maniera per certi versi esponenziale anche rispetto ad un passato con tutti i suoi limiti ed errori, ha come prerequisito fondante l’obbedienza (al leader, al capobastone, al partito, alla consorteria, alla cricca, alla cosca,…), a tutti e tutto fuorché all’interesse comune, l’unica leva che hanno i cittadini è quella della disobbedienza. Alla politica obbediente che restringe i confini della democrazia, si può solo rispondere con gesti di disobbedienza civile, di ciascuno e di molti. Atti di sabotaggio (si, SABOTAGGIO, tanto la sentenza su Erri De Luca oramai fa giurisprudenza), non violenti, ma che abbiano la forza, anche testimoniale, di destabilizzare un potere miope e arrogante. Alla politica obbediente, più che la compravendita dei voti, è indispensabile la compravendita delle coscienze. “Ma come? Che fa questo qua? Non obbedisce?”: è a questo che non sono preparati; quella politica lì, la disobbedienza non la sa gestire, perché nel suo praticarsi diventa essa stessa politica, quella autentica, quella cosiddetta con la “P” maiuscola, proprio perché ha lo scopo di rimarginare democrazia e diritti che vengono lesi. Chi disobbedisce perché per interessi particolari si vogliono ledere diritti costituzionali, privatizzare beni comuni, compie un atto democratico, che rappresenta l’unico, ma doppio antidoto: alla politica obbediente, e all’antipolitica forcaiola. In quest’epoca la Politica sta proprio qui, nelle piccole o grandi scelte, e comunque anche potenzialmente portatrici di ripercussioni sul piano personale, di quelli che in ragione di un interesse generale e pubblico, disobbediscono. Li potremmo chiamare ricostruttori di democrazia. Trent’anni (o quasi) dopo, attraversati, per dirla con De Andrè, “litri e litri di corallo”, ne sono fermamente convinto. A proposito, proprio cinquant’anni fa, il 15 febbraio 1966, per aver scritto la “Lettera ai cappellani militari”, Don Lorenzo Milani venne assolto in primo grado dai giudici “perché il fatto non costituisce reato”.

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