mercoledì 3 gennaio 2024

IL PAESE DEI BALOCCHI *

L’alluvione che il 15 settembre del 2022 ha interessato le province di Pesaro Urbino e Ancona, nel territorio montano dei fiumi Sentino, Misa e Nevola, ha prodotto danni gravissimi, e appena un po’ più a valle, oltre ai danni, 14 morti. Dopo quindici mesi in quei territori ben poco è stato fatto per il ristoro dei danni alle famiglie, alle imprese e per il ripristino delle infrastrutture; gli alvei dei fiumi in alcune zone sono ancora carichi del materiale trascinato dall’acqua. Diverse strade provinciali e comunali, o tratti di esse, non sono tutt’oggi percorribiliNel territorio dei Comuni di Sassoferrato, Serra Sant’Abbondio e Pergola, la furia dell’acqua e del fango ha prodotto gravi conseguenze alla rete stradale. Ma già sul finire dell’inverno 2023, la sola opera infrastrutturale su cui si è immediatamente intervenuti, con anche un forte impegno economico, è stato il tratto di oltre un chilometro, il n. 23, della ex ferrovia Fabriano-Pergola, all’altezza della stazione di Monterosso; dove le conseguenze della catastrofe climatica, hanno spazzato via il binario. Ma in pochi mesi è stato rifatto tutto da capo: ricostruita la massicciata, rimesse le rotaie, sistemati i passaggi a livello, e messo in sicurezza il letto del torrente Sanguerone, che aveva provocato la devastazione. Un intervento a carico di RFI (Rete Ferroviaria Italiana), l’azienda pubblica in forma di società per azioni, il cui contratto di servizio prevede anche che entro la fine di questo anno venga completata l’automazione dei passaggi a livello, 18 in tutto.

La linea di 31 chilometri a binario unico non elettrificato Fabriano-Pergola, segmento di quella che doveva essere fin dall’Italia del Regno la ferrovia Subappenninica, un progetto molto ambizioso che doveva collegare Fano a Civitanova Marche, non solo non venne mai completato, ma la tratta fu definitivamente dismessa nel 2014. Utilizzata negli ultimi periodi da meno di venti passeggeri al giorno, il traffico fu sospeso già dal 13 novembre 2013, a causa di un piccolo dilavamento della massicciata al km 22, provocato dall’esondazione di un ruscello. Ad aprile 2015 vennero rimosse le barriere dei passaggi a livello, rendendo di fatto impossibile il transito di alcun convoglio ferroviario. Per RFI, tuttavia, la linea rimase formalmente attiva, seppur senza traffico. Ad aprile dell’anno successivo venne asfaltato il passaggio a livello che accede alla zona industriale di Melano-Marischio (Fabriano) poco prima di arrivare alla stazione omonima, rendendo di fatto impossibile la circolazione dei treni.

Un errore fu non tanto la chiusura del 2014, non più chiaramente sostenibile a livello commerciale, ma la scelta molti anni prima, delle classi dirigenti regionali di non investire più sul trasporto pubblico locale su rotaia, per rincorrere il “nuovo mito di progresso” dell’asfalto, con progetti come la Quadrilatero s.p.a. pedemontane, terze corsie autostradali, complanari, intervallive, che avrebbero devastato il paesaggio agricolo e naturale marchigiano, specie nell’entroterra.

Sarà per questa spoliazione di un servizio pubblico importante come il treno, che Francesco Baldelli (fratello del deputato di FdI Antonio Baldelli), attuale assessore alle infrastrutture della Regione Marche, e sindaco di Pergola tra il 2009 e il 2019, paese capolinea della tratta ferroviaria, ha fatto del ripristino della linea la sua missione istituzionale. Eletto nel 2020 in Regione con Fratelli d’Italia, che dopo decenni ha scalzato il centrosinistra, appena un anno dopo, nel settembre del 2021, dopo 8 anni ha fatto ripartire il primo treno sulla Fabriano-Pergola.

Solo che non si tratta un treno commerciale passeggeri, a servizio della mobilità sostenibile del territorio, ma un treno turistico a trazione diesel con locomotiva, quattro carrozze d’epoca e una per le biciclette, che periodicamente effettua gite domenicali. Partendo dalla stazione di Ancona, si dirige con al massimo 271 passeggeri a viaggio, alla stazione di Fabriano, per poi percorrere i 31 km fino a Pergola. I turisti potranno scendere nelle diverse fermate previste per visitare paesi e siti storici (Fabriano, Sassoferrato, Bellisio Solfare con la Miniera di Cabernardi e Pergola con i Bronzi Dorati), per tornarsene poi a casa verso Ancona la sera.

Per riattivare la linea, il costo se l’è accollato la Fondazione Fs, nata nel 2013 dai soci fondatori Ferrovie dello Stato, Trenitalia e Rete Ferroviaria Italiana, e presieduta da Mons. Liberio Andreatta (già AD dell’Opera Romana Pellegrinaggi). Con un investimento che ad oggi si è aggira già intorno ai 16 milioni di euro.

Nel 2021 il treno ha effettuato tre viaggi tra settembre e ottobre, e si era riproposto di farne altri venti nel 2022, se non fosse che l’alluvione del 15 settembre ha fatto saltare le corse autunnali e invernali.

Domenica 26 settembre 2021 a Fabriano, “alla stazione c’erano tutti, dal commissario al sagrestano, con gli occhi rossi e il cappello in mano”, per salutare la prima corsa del treno storico della ferrovia Subappennica Italia. Uno schieramento politico bipartisan, dalla destra che era arrivata da un anno al governo della regione, al sindaco di Fabriano dei Cinque Stelle, e a tutti i vari e numerosi amministratori comunali del PD, radicati lungo i 31 km. I 18 passaggi a livello senza più sbarre ed incustoditi, per far passare il treno senza provocare incidenti, erano tutti presidiati dalla polizia locale e dai volontari della protezione civile.

Una eterogenea rappresentanza istituzionale, accomunata, senza alcun ombra di critica, dalla nuova illusione degli ultimi turismo anni: quella dell’industria del turismo. Tutti convinti che possa prendere il posto di uno dei distretti manifatturieri più ricchi d’Italia; in cui la crisi del 2008 ha lasciato capannoni vuoti e migliaia di cassaintegrati, disoccupati, inoccupati.

Questa nuova unità di intenti istituzionale avrà ricordato all’assessore regionale alle Infrastrutture, quando era ancora adolescente, l’epico gesto che si consumò nel suo paese, Pergola, il 17 febbraio 1989, quando il senatore Giorgio Tornati del PCI e il deputato Giuseppe Rubinacci del MSI, parlamentari del territorio, con cazzuola, calce e forati, murarono la stanza della scuola elementare del paese dove erano temporaneamente esposti i Bronzi Dorati di Cartoceto di Pergola, un magnifico reperto archeologico risalente all’epoca romana. Un’iniziativa per impedire alla Sovrintendenza Archeologica delle Marche di riportarli al museo nazionale di Ancona, essendo stati concessi a Pergola solo per un’esposizione temporanea. Riuscita con successo, tanto che ancor oggi i Bronzi Dorati, sono esposti nel piccolo museo locale; Ancona si è dovuta accontentare di una copia che è stata posta sul tetto del Museo Archeologico Nazionale.

Perché poi, al di là delle dialettiche e contrapposizioni politiche nazionali, nei paesi è radicata quella cultura, per cui rispetto all’interesse locale, anche quando questo è il meno nobile e il più particolaristico, si rema comunque tutti dalla stessa parte.

Il ripristino ad uso turistico di una ferrovia dismessa, è una scelta probabilmente forte dal punto di vista delle carriere politiche personali, ma molto debole da un punto di vista razionale, per primo quello economico, perché si ha sempre a che fare con l’utilizzo di denaro pubblico. Infatti la Regione Marche, a seguito di procedura di evidenza pubblica, ha affidato alla Fondazione Fs per il triennio 2022-24 il “Servizio di trasporto ferroviario, a fini turistici, con materiale rotabile storico come definito dalla normativa statale vigente nella tratta ferroviaria Subappennina Italica Fabriano – Pergola”, per un importo complessivo di 1.508.573 €. Tale importo, a seguito dell’alluvione del 2022, che ha sospeso per diversi mesi il servizio, ha condotto ad un rimodulazione negoziata del contratto originario, per attestarsi attualmente a 955.120 € fino a tutto il 2024.

Qualche giorno fa, è uscito trionfante nel mainstream locale, il bilancio dei primi due anni di questa scelta. Fatto non da un soggetto istituzionale, ma dall’agenzia Criluma Viaggi di Ancona, a cui la Regione Marche ha affidato tramite piattaforma elettronica MEPA, la “Promozione turistica sulla ferrovia Ancona-Fabriano-Pergola nell’ambito del progetto Subappennina Italica”, per un importo di 17.300 € nel 2021 e di 142.740 € per il 2022; per il 2023 sull’Albo Pretorio online non risultano al momento atti.

Un rischio d’impresa minimo quindi per questo impresa privata del turismo, considerato anche che i turisti che salgono in carrozza pagano un biglietto, acquistabile sul sito dell’agenzia, il cui prezzo a passeggero, ad esempio, per il prossimo viaggio del 28 gennaio 2024, con partenza da Ancona è di 35€ (27€ da Fabriano); e se si vuole consumare il pranzo a bordo il costo del biglietto sale di 20€.

Nei primi due anni si sono organizzate 19 corse per un totale di 5700 utenti. Se ne vorrebbero organizzare almeno 20 nel prossimo anno. Quindi il bilancio di questa operazione voluta dalla Regione Marche di destra-destra, senza alcun soffio di critica o polemica dell’opposizione politica, ma anzi con il tacito sostegno di quest’ultima, è un po’ meno sbrigativo e semplicistico di quello proposto pubblicamente dall’agenzia di viaggio di Ancona. E racconta un grande impiego di risorse pubbliche, sottratte a servizi essenziali e alla tutela del territorio, per una delle tante operazioni che stanno trasformando i territori delle aree interne in grandi Disneyland a all’aria aperto.

Il treno turistico continuerà indubbiamente a portare passeggeri domenicali in quel territorio, con ricadute insignificanti sull’economia locale, e facendo litigare, come già accade, i sindaci tra loro, che si contendono i viaggiatori per farli scendere nel proprio paese anziché in quello vicino. Ma i visitatori attraversano, più o meno consapevoli o interessati a questo, paesi sempre più spopolati, ogni giorno più difficili da vivere per lo smantellamento di tutti i servizi alla persona: sanitari, scolastici, sociali, trasporto pubblico locale, etc; con sempre meno lavoro, sia di bassa, che di alta scolarizzazione. Un territorio con una percentuale di rischio idrogeologico oltre l’90% secondo i dati Ispra.

Comunque, già dal prossimo anno, i passeggeri della linea turistica Fabriano-Pergola, tra la stazione di Sassoferrato e quella di Monterosso, guardando fuori dai finestrini delle carrozza, potranno “ammirare” il costruendo impianto fotovoltaico di oltre 10 ettari, alle pendici del Monte Strega; un’area protetta dal protocollo “Sic ZPS Natura 2000”, e dentro la fascia di rispetto che la legge fissa per i Beni Storici Tutelati. Un impianto realizzato su terreni agricoli acquisiti da privati, dalla ditta ”Solar Challange 7” di San Benedetto del Tronto, il cui codice ATECO è “installazione di impianti elettrici in edifici o in altre opere di costruzione”. Un’operazione imprenditoriale partita dal 2021 e, stando alle loro dichiarazioni, ad insaputa dell’Amministrazione Comunale di Sassoferrato. La cui Conferenza dei Servizi però, lo scorso 14 dicembre, ha autorizzato all’unanimità la realizzazione dell’impianto.

* pubblicato su comune-info.net il 24 dicembre 2023



PROTEGGERE LA CASA COMUNE *

C’è un tema sottotraccia che attraversa la Laudate Deum di papa Francesco, ed è quello della democrazia. O meglio, la crisi, se non addirittura la fine, delle forme di rappresentanza democratica nate dopo il 1945. La presa d’atto che le governance mondiali e nazionali, non riescono (ma è palese che non vogliono) a fare il necessario per arginare gli effetti della crisi climatica. Basti pensare alle dichiarazioni del presidente della prossima Cop28 a Dubai, Sultan al Jaber: “È fantasia abbandonare frettolosamente la struttura energetica esistente per perseguire gli obiettivi climatici”. Il che significa che la Cop28 è finita ancora prima di iniziare.

La crisi climatica penalizza doppiamente le regioni più povere del pianeta, colpite dai fenomeni estremi innescati dal surriscaldamento terrestre. In cui le povertà di chi perde il già poco che ha per un’alluvione, un incendio, l’innalzamento dei mari, un’intensa siccità, aumentano e si amplificano. Ma di questo la colpa viene scaricata addosso ai poveri. Riferendosi in particolare alla politica negazionista (ad esempio buona parte del governo italiano), amplificata dal main stream, il papa è esplicito:

Come al solito, sembrerebbe che la colpa sia dei poveri. Ma la realtà è che una bassa percentuale più ricca della popolazione mondiale inquina di più rispetto al 50% di quella più povera e che le emissioni pro capite dei Paesi più ricchi sono di molto superiori a quelle dei più poveri (LD 1,9)”.

Papa Francesco demolisce anche un’altra fake news:

“Spesso si dice anche che gli sforzi per mitigare il cambiamento climatico riducendo l’uso di combustibili fossili e sviluppando forme di energia più pulita porteranno a una riduzione dei posti di lavoro. Ciò che sta accadendo è che milioni di persone perdono il lavoro a causa delle varie conseguenze del cambiamento climatico (LD 1,10)”.

Si pensi alla chiusura della Magneti Marelli a Crevalcore, in cui una mera delocalizzazione, viene rivenduta come conseguenza dell’abolizione entro il 2035 della produzione di motori endotermici, stabilita dalla UE. Oppure alle migliaia di aziende agricole italiane chiuse nel 2022 per effetto delle ondate di calore e della siccità.

Le governance politiche nazionali sono dipendenti dalle lobby economiche e finanziarie delle industrie del fossile, e dalle multinazionali dell’agroalimentare. Perché come scrive il papa:

“Purtroppo, la crisi climatica non è propriamente una questione che interessi alle grandi potenze economiche, che si preoccupano di ottenere il massimo profitto al minor costo e nel minor tempo possibili (LD 1,13)”.

Dalla tragedia del Vajont, il 9 ottobre di 60 anni fa, ogni infrastruttura che devasta l’ambiente per alimentare il capitalismo più feroce e l’interesse di pochi, ha bisogno di muoversi nei sottoboschi della politica e delle istituzioni; di sottrarsi a qualsiasi processo democratico e partecipativo che coinvolga le comunità che vivono in quei territori. Uno scempio ambientale è sempre preceduto e accompagnato da uno scempio della democrazia.

Il papa lo evidenzia in un paragrafo magistrale:

“La decadenza etica del potere reale è mascherata dal marketing e dalla falsa informazione, meccanismi utili nelle mani di chi ha maggiori risorse per influenzare l’opinione pubblica attraverso di essi. Con l’aiuto di questi meccanismi, quando si pensa di avviare un progetto con forte impatto ambientale ed elevati effetti inquinanti, gli abitanti della zona vengono illusi parlando del progresso locale che si potrà generare o delle opportunità economiche, occupazionali e di promozione umana che questo comporterà per i loro figli. Ma in realtà manca un vero interesse per il futuro di queste persone, perché non viene detto loro chiaramente che in seguito a tale progetto resteranno una terra devastata, condizioni molto più sfavorevoli per vivere e prosperare, una regione desolata, meno abitabile, senza vita e senza la gioia della convivenza e della speranza; oltre al danno globale che finisce per nuocere a molti altri (LD 2,29)”.

Su questogli esempi potrebbero essere infiniti, ma riferendoci alle Marche, la mia regione, i riferimenti non mancano: il gasdotto appenninico SNAM, la Quadrilatero, gli impianti sciistici sul Monte Acuto, la proliferazione degli allevamenti avicoli Fileni in provincia di Ancona (qui si allevano 5,8 polli per abitante, 150 a Jesi), il permanere della raffineria Api di Falconara Marittima, che proprio in questi giorni festeggia i 90 anni, e che ha fatto del territorio limitrofo una Zona AERCA (area ad elevato rischio di crisi ambientale).

I governi nazionali del pianeta sono sempre di più oligarchici e autoritari, e anche quando si convocano per occuparsi degli effetti della crisi climatica, come in occasione delle COP, si fingono multilateralisti.

“Non giova confondere il multilateralismo con un’autorità mondiale concentrata in una sola persona o in un’ élite con eccessivo potere (LD 2,35)”.

Anche rispetto alla prossima COP28 di Dubai, nell’Esortazione c’è giusto un formale richiamo, quasi rassegnato sul possibile esito.

A proposito della “Casa Comune”, papa Francesco in apertura è perentorio:

“con il passare del tempo, mi rendo conto che non reagiamo abbastanza, poiché il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura”.

Non solo il nostro pianeta è malato, stremato per colpa dell’azione dell’uomo, ma anche la rappresentanza democratica è in agonia (specie nell’Occidente), e non ce la può fare più da sola.

“Tutto ciò presuppone che si attui una nuova procedura per il processo decisionale e per la legittimazione di tali decisioni, poiché quella stabilita diversi decenni fa non è sufficiente e non sembra essere efficace. In tale contesto, sono necessari spazi di conversazione, consultazione, arbitrato, risoluzione dei conflitti, supervisione e, in sintesi, una sorta di maggiore “democratizzazione” nella sfera globale, per esprimere e includere le diverse situazioni. Non sarà più utile sostenere istituzioni che preservino i diritti dei più forti senza occuparsi dei diritti di tutti. (LD 3,43)”.

È il tempo in cui le istituzioni devono essere affiancate parallelamente da nuove forme di partecipazione e democrazia dal basso, indipendenti. Queste oggi sono espresse dai movimenti che in ogni angolo del pianeta si battono per la giustizia sociale e climatica, e che proprio nei giorni scorsi si sono trovati tutti a Milano per il World Congress for Climate Justice. Collettivi che trovano nella Laudate Deum piena legittimazione:

“Poniamo finalmente termine all’irresponsabile presa in giro che presenta la questione come solo ambientale, ‘verde’, romantica, spesso ridicolizzata per interessi economici. Ammettiamo finalmente che si tratta di un problema umano e sociale in senso ampio e a vari livelli. Per questo si richiede un coinvolgimento di tutti. Attirano spesso l’attenzione, in occasione delle Conferenze sul clima, le azioni di gruppi detti “radicalizzati”. In realtà, essi occupano un vuoto della società nel suo complesso (LD 2,58)”.

Sono composti perlopiù dalla Generazione Z, che con la scelta della disobbedienza civile nonviolenta, rappresentano una nuova democrazia dal basso. Tutte loro, in una organizzazione interna che è esclusivamente circolare e orizzontale, senza vertici, capi, organi rappresentativi, sono il modello di una nuova democrazia, che la crisi del pianeta candida a sostituire quella tradizionale, oramai inefficace.

Di fronte alla rappresentanza democratica storicizzata, incapace di farsi carico dell’interesse generale dei popoli, e che spaventata dal nuovo proveniente dalle strade agisce reprimendo, paradossalmente un blocco stradale, il lancio di vernice lavabile sulla vetrina di una multinazionale, il boicottaggio di una pompa di benzina, diventano, anziché gesti eversivi, atti democratici autentici.

È anche a loro che il papa fa riferimento:

“la globalizzazione favorisce gli scambi culturali spontanei, una maggiore conoscenza reciproca e modalità di integrazione dei popoli che porteranno a un multilateralismo ‘dal basso’ e non semplicemente deciso dalle élite del potere. Le istanze che emergono dal basso in tutto il mondo, dove persone impegnate dei Paesi più diversi si aiutano e si accompagnano a vicenda, possono riuscire a fare pressione sui fattori di potere. È auspicabile che ciò accada per quanto riguarda la crisi climatica” (LD 3,38).

La Laudate Deum ha una straordinaria valenza spirituale, politica e sociale. Ma, a differenza della Laudato Si’, lascia trasparire un’amara consapevolezza da parte dell’autore. Bergoglio, come Francesco d’Assisi sul quale ha centrato tutto il suo pontificato, in questa società, e per i poteri di questo tempo, è un uomo solo e sul margine. Ma proprio per questo, paradossalmente rappresenta per tutti i messi al margine, che sono la stragrande maggioranza degli abitanti del pianeta, l’unica autorità mondiale credibile a cui far riferimento; anche se non si crede in niente e a nessuno. Di fronte ai cosiddetti leader mondiali, che non rappresentano se non se stessi, e ristrette élite economiche, papa Francesco è il solo leader dell’intera umanità. Con il pianeta Terra, in cui il genere umano, secondo gli scienziati, nel perseverare delle attuali scelte, sta accelerando verso l’estinzione, guidato da personaggi già sconfitti, Francesco è il solo vincitore. Una solitudine, quella nella causa della salvezza del pianeta (e forse non solo in questa), che Bergoglio vive per primo dentro la Chiesa Cattolica:

“Sono costretto a fare queste precisazioni, che possono sembrare ovvie, a causa di certe opinioni sprezzanti e irragionevoli che trovo anche all’interno della Chiesa cattolica… (LD 1,14)”.

 * pubblicato su comune-info.net il 18 ottobre 2023



IL GALEONE COMUNITARIO *

La cartografia stradale, indica solo quaranta minuti di strada tra Casa Galeone e Ancona; un “tiro di schioppo” dal Colle dell’Infinito della Recanati di Giacomo Leopardi

Eppure, in questa domenica di primo caldo sole, dopo settimane di pioggia, di danni e di tante allerte meteo (nuova liturgia amministrativa del tempo della crisi climatica), il Capoluogo di Regione nel giorno del ballottaggio amministrativo che consegnerà alla destra le chiavi della città dopo trent’anni (come preventivabile da mesi), sembra lontano diversi meridiani.

Anzi, da queste colline marchigiane assolate, in cui molti dei tratti distintivi di quel paesaggio agricolo studiato da Sergio Anselmi e dipinto da Tullio Pericoli, è stato cancellato da distese di pannelli solari, frutti tecnologici di una stagione senza regole per improvvisati im-presari locali delle rinnovabili, le stesse Marche sembrano distanti misure siderali.

La Regione del “laboratorio politico” del partito di Giorgia Meloni, che in due anni ha fatto “cappotto” quasi su tutto, e ora si appresta nel 2024 a una storica marcia su Pesaro, roccaforte al tempo stesso del buongoverno e dell’arroganza del potere piddino; raccogliendo la sfiducia, la rabbia e la delusione, di una popolazione nauseata dalle dinamiche autoriproduttive delle classi dirigenti locali del Pd. Ma anche le Marche portate al collasso economico e sociale dal tentacolare e camaleontico democristianesimo diffuso dell’im-prenditoria familiare dei noti distretti industriali.

Si, a Casa Galeone, esperienza di comunità civile, sociale e agricola, nata otto anni fa, su iniziativa di marchigiani, sembra proprio di stare culturalmente e civilmente da un’altra parte del “globo terracqueo”, per usare un’espressione della presidente del Consiglio, rispolverata da un vecchio dicorso del Duce degli anni Trenta.

Casa Galeone, “è un progetto di vita comunitaria di stampo libertario, nato dall’esigenza di alcunә compagnә di tramutare la lotta e il conflitto politico in pratiche reali di vita quotidiana”, recita il suo Manifesto. 

“I motivi del nome del progetto – spiega Alessandro – derivano dalla forma della casa che sfoggia due contrafforti sul lato est, verso il mare, che ricordano proprio le mura di un galeone; inoltre ci riconoscevamo, e ci riconosciamo, nella retorica di una vecchia canzone anarchica, ‘Il Galeone'”:

Ma sorga un dì sui martiri il sol dell’anarchia
Su schiavi all’armi, all’armi
L’onda gorgoglia e sale
Tuoni, balene e fulmini sul galeon fatale

Uno spazio comunitario autogestito, dove si costruisce e sperimenta insieme un nuovo modo di vivere in campagna. Un insieme di pratiche che, riflettendo la trasversalità e inclusività del progetto, vanno dall’autodeterminazione alimentare, alla socialità popolare e solidale, dalla cura dell’ecosistema rurale all’educazione libertaria, dall’antipsichiatria alla lotta contro l’agroindustria, dal sostegno alle arti e alla cultura alternativa fino alla promozione della transizione ecologica dal basso.

L’immaginifico Galeone naviga oggi in una Regione “certificata” dal testimonial turistico pagato 300.000 euro l’anno (messi metà per uno dalla Regione e dalla Camera di Commercio): il ct jesino della Nazionale di calcio Roberto Mancini, filmato a petto in fuori nei nuovi spot promozionali sulla spiaggia di Portonovo; che, da buon marchigiano (basti pensare al “meglio un morto in casa che un marchigiano sulla porta”), i “risparmi” di una vita da campione, li ha investiti nei paradisi fiscali off-shore.

La mission di Casa Galeone non ha niente che vedere con le Marche dell’economia padronale, consegnata oggi in molti casi per fallimento generazionale alle multinazionali; con le politiche culturali e sociali pubbliche, in mano da anni a bramosi e squalificati “cerchi magici”, autorigenerantisi a seconda del vento politico e istituzionale che tira. Basti pensare alla Regione prima di Risorgimarche, il festival di ispirazione piddina di Neri Marcorè, e ora di MarCHESTORIE, a matrice leghista del volto RAI Paolo Notari e del meloniano Pino Insegno (contrattualizzato, in attesa del ritorno in prima serata RAI, dalla Giunta Regionale). E neanche con le Marche del modello agroalimentare degli allevamenti intesivi avicoli Fileni, in cui i miliardari fondi comunitari del PSR (Piano di Sviluppo Rurale), vengono da anni spartiti sempre tra i soliti.

Niente poi a che fare con un sistema sanitario regionale che sta progressivamente soffocando i presidi territoriali per la salute mentale, per conseguarli alla quasi esclusiva gestione delle strutture private. Ma non è certo un fulmine a ciel sereno, considerato il mentore dell’attuale governo regionale (a detta di tanti il vero presidente regionale), è l’ex missino Carlo Ciccioli (finito spesso alla ribalta nazionale per le sue dichiarazioni su aborto, denatalità, genitorialità, sostituzione etnica, e perfino l’alluvione del settembre 2023 con la frase «Le vittime nel posto sbagliato al momento sbagliato»), psichiatra antibasagliano, e propositore anni fa in parlamento di un disegno di legge volto a riportare la storia della salute mentale a prima della L. 180/78.

In questo, Alessandro, il primo a venire qui, mi spiega sinteticamente il loro lavoro sull’antipsichiatria: “Riteniamo che una delle forme di repressione più pervasiva e perversa sia appunto la psichiatria. La malattia mentale non esiste. Esistono dei comportamenti, delle forme di espressione, delle sofferenze emotive o degli stati eccezionali dell’essere che non devono, solo per il fatto di essere alieni al sistema sociale e di produzione, essere confinati nello spettro delle patologie. Riteniamo che tutti abbiano pari dignità e pari responsabilità a prescindere dalle etichette che l’obbligatorietà di diagnosi e cura ti appiccica addosso. Sostanzialmente Casa Galeone è uno spazio dove lo stigma non esiste, dove le persone, nel totale rispetto della situazione ovviamente, possono esprimersi liberamente. Forniamo materiale di controinformazioni sull’utilizzo degli psicofarmaci, facciamo presentazione di pubblicazioni volte a denunciare le nefandezze della psichiatria, ospitiamo l’assemblea nazionale dei collettivi e delle associazioni che si battono per la tutela delle persone vittime di questa pseudoscienza, diamo rifugio a persone in odore di TSO facendo decadere una delle tre condizioni per le quali si può disporre ovvero l’emergenzialità. Andiamo a trovare i reclusi negli SPDC (Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura) o repartini che dir si voglia, in modo da creare un deterrente alle violenze degli psichiatri e degli infermieri che spesso si accaniscono soprattutto contro chi è più solo. Raramente riusciamo anche a tirarne fuori qualcuno, ma è molto complicato. Il nostro può sembrare un approccio estremista e ideologico. Non è così, anzi, direi proprio l’opposto”.

* pubblicato su comune.info.net il 3 giugno 2023



ASSETATI DI PROFITTO *

 “L’acqua la insegna la sete”, è un verso di una poesia di Emily Dickinson del 1859. Nel 2023, invece, il rapporto ONU relativo al fabbisogno idrico del pianeta, pubblicato in occasione della Giornata Mondiale dell’acqua del 22 marzo scorso, evidenzia che in questo momento sul pianeta 2 miliardi di persone non hanno acqua sicura da bere; con la previsione che nel 2050 saranno 5 miliardi le persone che non avranno accesso all’acqua potabile; e il 2050, per quelli nati dal 2000 in poi, significa “dopodomani”.

In questo primo periodo dell’anno, in Italia si è registrato in media il 18% in meno di precipitazioni rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. È scaduto il 17 aprile il bando della Regione Marche per i ristori alla perdita delle produzioni agricole, dovute alla siccità del 2022. Palese evidenza che la crisi climatica in corso non è una fantasia del canale/blog specializzato in fake-news ByoBlu, ne un’invenzione dell’ipotizzata “associazione a delinquere” (secondo la Procura di Padova) di cittadini di Ultima Generazione che si battono per la giustizia climatica; ma un fatto scientifico in corso, che si ripercuote sull’attività economica delle imprese agricole; e che arriva anche nel “paniere” della spesa, con il rincaro dei prezzi (già 10,8% per la frutta e dell’11,8% della verdura).

Diverse Regioni, già da gennaio sono in conclamata crisi idrica, e si profila una situazione peggiore di quella del 2022; la Regione Veneto, il 14 marzo ha emanato già un’ordinanza su “Carenza di disponibilità idrica nel territorio della Regione”. Non molto differente la situazione della Regione Marche, in cui già le sole perdite della rete idrica sono pari al 34% dell’acqua immessa (Istat 2023). I dati del “monitor siccità” dell’ASSA Marche, forniscono un quadro classificabile come “moderatamente siccitoso” fino ad aprile, con una situazione più positiva nel centro-nord. La scorsa estate la situazione fu critica: fioccarono le ordinanze dei sindaci marchigiani, che prescrivevano misure per limitare l’uso pubblico e privato dell’acqua. Oltre a richiamare i cittadini alla sobrietà nell’utilizzo dell’acqua, si impediva il prelievo, o limitava l’uso per: irrigazione e annaffiatura di orti, giardini e prati; lavaggio di aree cortilizie, piazzali, veicoli a motore; riempimento di piscine su aree private (ma non quelle delle attività economiche turistiche o sportive, ndr); usi diversi da quello alimentare domestico, per l’igiene personale e per l’abbeveraggio degli animali. Una situazione che, in vista dell’estate prossima, ha tutte le condizioni per replicarsi. È giusto chiedere sacrifici ai cittadini. Ma c’è un settore del sistema produttivo in Italia, al quale però su questo tema, non viene chiesto alcun “sacrificio”. Specie in un periodo come questo, dove in alcune zone del Paese, l’uso dell’acqua viene razionato e molti cittadini vengono riforniti con le autobotti (questo, senza aspettare l’estate, è già avvenuto a gennaio scorso in alcuni centri del Piemonte). Ed è quello dell’industria dell’acqua minerale, che preleva l'”acqua bene comune” dal sottosuolo e dalle sorgenti.

 Il business delle acque in bottiglia

Le scienze geologiche ci spiegano che i fiumi, per avere un loro equilibrio, debbono vivere nel loro rapporto con le falde che sono sotterranee; se si emunge troppo, il livello delle falde si abbassa talmente tanto, che prima che si ricarichino ci impiegano un tempo troppo lungo; noi usiamo, o meglio beviamo, acqua fossile, che è piovuta anche centinaia di anni fa, e che quindi è risorsa idrica che è andata a caricare i nostri serbatoi sotterranei con un tempo lungo. Siccome specie in questo periodo, complice anche la siccità, si sta emungendo in maniera straordinaria, quelle falde non si ricaricano più nei tempi e nei modi “normali”.

Il business delle acque in bottiglia garantisce enormi profitti ai privati e somme irrisorie alle Regioni. Ad esempio, l’ultimo bilancio di Rocchetta Spa, certifica nel 2020 ricavi per 56,4 milioni di euro, e utili per 1,6 milioni a fronte dei quali, in base ai dati forniti dalla Regione Umbria, l’azienda ha pagato poco più di 445mila euro per lo sfruttamento delle sorgenti di Gualdo Tadino, dove da anni va avanti indomita la battaglia civile e giudiziaria della locale Comunanza Agraria contro lo sfruttamento delle risorse idriche, a seguito delle concessioni date dal Comune e dalla Regione alla multinazionale dell’acqua minerale. Per l’emungimento, infatti, le società versano pochissimo. Lo confermano i dati del 2020 (da un’inchiesta di Altreconomia): sono stati emunti circa 17,9 miliardi di litri d’acqua, mentre i canoni corrisposti alle Regioni ammontano a poco meno di 18,8 milioni di euro. Ed è un dato parziale, perché non tutti gli enti regionali hanno fornito dati. C’è infatti molta reticenza, perché emerge che le aziende pagano pochissimo la materia prima che sta alla base della loro attività: un litro d’acqua viene pagato nell’ordine dei millesimi di euro, una cifra quasi virtuale (la media italiana per litro emunto nel 2020, ma mancano i dati di 7 Regioni, è di 0,0007 €). Pensiamo poi che quella stessa acqua, una volta imbottigliata e distribuita, viene venduta tra i 20 centesimi e i 2 euro al litro. Il sistema è regolato da concessioni per l’emungimento, spesso di natura ultradecennale, che le Regioni stabiliscono con i privati. A determinare l’importo concorrono due fattori: un canone relativo alla superficie di territorio dato in concessione, e uno commisurato alla quantità d’acqua emunta o imbottigliata.

Il caso della Marche

Nelle Marche, le concessioni a soggetti privati per l’emungimento di acqua ai fini della sua commercializzazione, sono regolate da una legge del 1982, la n. 32: “Disciplina della ricerca, coltivazione ed utilizzazione delle acque minerali e termali nella Regione Marche”. La durata delle concessioni è di 20 anni, con possibilità di proroga per altri 30 anni. Si può osservare come nelle Marche non si sia mai proceduto al rilascio, o al rinnovo, attraverso una procedura pubblica di avviso o gara. Nel caso di nuove richieste, l’avvio del procedimento delle istanze presentate dai soggetti interessati, viene pubblicato sia su BUR, che su albo pretorio del Comune interessato. Per quanto riguarda l’utilizzo di acque termali, le concessioni sono perpetue.

Altro aspetto “singolare”, è che il privato certifica alla Regione Marche l’emungimento in “autolettura”, un po’ come per l’uso domestico. Tutte le ditte titolari di concessioni minerarie di acque minerali e termali sono tenute a dotarsi di contatore per misurare le portate prelevate; le quote dovute per l’imbottigliamento vengono pagate a conguaglio in base alle fatture emesse dalle aziende, in cui si evincono i litri e le tipologie volumetriche dei recipienti, e il materiale utilizzato per l’imbottigliamento e la commercializzazione (vetro, plastica). La Regione, semmai, procede a campione nel fare dei sopralluoghi di verifica della corrispondenza tra misurato e dichiarato. Mentre, nel caso dell’acqua potabile a uso domestico, il personale della società territoriale, viene sempre periodicamente a leggere il nostro contatore.

La legge disciplina anche l’aspetto economico; ogni azienda versa una royalties che è composta da due voci: una quota parte relativa al diritto di superficie, e un’altra data dai litri imbottigliati. Da questo si può dedurre come non venga pagata la probabile quantità, seppur minima, di acqua dispersa.

Nello specifico: il concessionario corrisponde alla Regione un diritto annuo anticipato proporzionale all’estensione della superficie accordata in concessione pari, per ogni ettaro o frazione di ettaro a:

a) euro 120,00, per le concessioni relative ad acque minerali naturali e di sorgente che utilizzano oltre 25 milioni di litri/anno destinate all’imbottigliamento;
b) euro 60,00, per le concessioni relative ad acque minerali naturali e di sorgente che utilizzano meno di 25 milioni di litri/anno destinate all’imbottigliamento;
b bis) euro 30,00 per le concessioni relative ad acque minerali naturali e di sorgente che utilizzano meno di 5 milioni di litri/anno destinate all’imbottigliamento;
c) euro 20,00, per le concessioni relative ad acque minerali ad uso termale.

Zeri virgola

Relativamente alla quota parte di acqua commercializzata, il titolare della concessione ad eccezione di quella esclusivamente destinata a cure termali, corrisponde alla Regione un diritto annuo commisurato alla quantità imbottigliata e pari, ogni mille litri, a euro 1,25 dal 1° gennaio 2010. Questa tariffa, pari a 0,00125 euro per litro d’acqua emunta, e poi messa in vendita, non è stata più aggiornata da tredici anni. C’è però un incentivo alla ecosostenibilità: se l’acqua viene imbottigliata in vetro, anziché plastica, c’è una riduzione del 30% della tariffa mobile, per cui diventa 0,000875 euro per litro d’acqua.

“Zeri virgola”, che sono cifre quasi immateriali dal punto di vista della vita comune; un po’ come quando si deve provare a dare un senso pratico alla quantità monetaria del “bilione” o del “trilione”. Confrontando questa tariffa, con quella applicata ad esempio da Vivaservizi – gestore della provincia di Ancona – a una famiglia di quattro persone, che statisticamente consuma circa 180 mc d’acqua all’anno (180.000 litri), vediamo che a casa paghiamo 0,00159 euro al litroInsomma l’acqua ad uso domestico è più costosa rispetto a quella emunta dal sottosuolo, e venduta per profitto aziendale.

Nomi, tariffe e greenwashing

Quali sono le aziende concessionarie che imbottigliano acqua? Industrie Togni (Acqua Frasassi) di Serra S. Quirico (due sorgenti, San Cassiano a Fabriano e Piagge del Prete a Genga), Società Fonti di Palme a Fermo, S.A.G.M.A. a Montefortino, San Ruffino ad Amandola, Sarnano Terzo Millennio (due sorgenti), S.I.B.E. ad Ussita, Nerea a Castelsantangelo sul Nera, Blu Service a Fossombrone, Galvanina ad Apecchio, Viti Oriana a Cagli (sorgente Calvagna). Le concessioni sono tutte attive con scadenze che arrivano anche fino al 2047, tranne per tre recentemente scadute, ma di cui risulta il rinnovo in corso (Fonte di Palme, S.A.G.M.A. e San Ruffino). Per quanto attiene ai dati economici del 2022, complessivamente hanno versato alla Regione un canone base di € 61.046 (sono comprese anche le concessionarie di sorgenti termali), e un canone per l’imbottigliato di € 390.791 (ma devono versare ancora in diversi). Completo il dato 2021, pari a € 611.696; c’è da osservare che però le società S.A.G.M.A., San Ruffino, Sarnano Terzo Millennio e Viti Oriana, non versano il canone imbottigliato dal 2017; qui si può solo benevolmente presupporre che in questi anni, queste imprese non abbiano emunto, imbottigliato e commercializzato. Entrando più nello specifico, si evince che la quasi totalità dell’incasso derivante dal canone imbottigliato nella Regione, lo fanno le Industrie Togni e Nerea. Riprendendo il dato relativo alla tariffa di 0,00125 euro per litro emunto, e ipotizzando che tutta l’acqua sia imbottigliata in plastica, proviamo ad andare proprio nel dettaglio. Le Industrie Togni nel 2022 hanno versato di canone imbottigliato € 4.315,18 per la sorgente di San Cassiano e € 386.476,60 per quella di Genga. Facendo un semplice calcolo aritmetico, l’acqua emunta sarebbe pari a 312.632.944 litri. Va sottolineato che Industrie Togni è l’unica tra le imprese ad aver versato il canone nel 2022. Per le altre, quindi, dobbiamo riferirci all’anno precedente, ovvero il 2021. La società Nerea ha versato € 75.000 per 60.000.000 di litri emunti. La Galvanina ha versato € 85.516,44 per 68.413.152 di litri emunti. La Blu Service ha versato € 2.695,74 per 2.156.592 di litri emunti. La SIBE di Ussita ha versato € 7.982,11 per 6.385.688 di litri emunti. La Fonte di Palme ha versato € 1.018,71 per 814.400 litri emunti. Complessivamente, nel 2021 nelle Marche, l’industria dell’acqua minerale ha emunto dal sottosuolo, imbottigliato e commercializzato 489.357.360 di litri d’acqua. Risorsa che, essendo acqua di sorgente e falda, dovrebbe considerarsi pubblica e “bene comune”.

Invece il canone fisso, versato alla Regione dai concessionari delle sorgenti a uso termale, è complessivamente di € 61.046,33; due di queste imprese, le Terme di Carignano a Fano, e quelle dell’Aspio a Camerano, godono di concessioni perpetue. Le altre imprese che nelle Marche hanno concessioni termali sono: Terme San Vittore a Genga, Soc. Wellness & Resort a Camerano, Nuove Terme di Acquasanta Terme, Sarnano Terzo Millennio, Azienda Specializzata a Tolentino, Gestione Spedalità Private a Carignano, Terme di Macerata Feltria, Bellisio Solfare Terme a Pergola, Terme di Riccione a Petriano e Comune di San Lorenzo in Campo.

In conclusione di questa piccola inchiesta sulle concessioni delle acque minerali e termali della Regione Marche, i commenti da fare sono ben pochi, così come le valutazioni. I dati parlano da soli. E il fatto che questi nelle Marche siano pubblicamente consultabili dal sito istituzionale della Regione, non è poca cosa. Andando sui siti di gran parte di queste aziende, c’è immancabile il link dell’impegno ecologico dell’impresa, una sorta di decalogo del greenwashing; in quanto, il vero impegno ambientale sarebbe quello di pompare meno acqua, facendo meno business. Ma quello che è veramente scandaloso è che ai cittadini dei territori dove viene prelevata l’acqua ai fini commerciali privati, non ritorni nulla, neanche il poco che queste aziende versano come royalties (che vanno alle Regioni e non ai Comuni); imprese che, quando va bene, si puliscono la coscienza con qualche sponsorizzazione paesana, una rotatoria, o la fornitura di bottigliette di plastica per qualche evento pubblico. In fondo, è come se chi abita in un Comune dove c’è un’impresa di acque minerali, venisse rapinato due volte.

* pubblicato su comune-info.net l' 8 maggio 2023



CONTINUARE IN CIO' CHE E' GIUSTO *

Il giardinetto dietro la Chiesa di Santa Maria Maggiore è circondato da alberi tutti diversi tra loro. Per questo, seduto sulla panca di legno, e guardando rami e fronde da sotto, ho cercato, sperando che ci fosse, un albicocco. Con la suggestione che la memoria ricrea, dopo 28 anni, di quel biglietto lasciato agli amici: “Non siate tristi. Continuate in ciò che era giusto”. Perché qui, nella città di San Francesco, in questo sabato di primavera, anche eccessiva per temperatura media, ho sentito fortissima la presenza di Alexander Langer.

 

Sabato 25 marzo, quello strano e profetico uomo politico della fine del Secolo scorso, forse si sarebbe sentito meno oppresso da quei pesi “diventati davvero insostenibili”, nel vedere il primo incontro del tutto informale, e per questo fondamentale, tra alcuni animatori del Movimento Laudato Si e attivisti di Ultima Generazione; promosso da alcuni Circoli Laudato Si umbri, assieme a un giovane attivista della zona, Tommaso.

 

Langer, che per primo, a metà degli anni Ottanta, in un suo scritto propose il concetto di “conversione ecologica”. Che poi, nel 2015, è divenuto l’architrave teologico, pastorale, e spirituale dell’Enciclica di papa Francesco Laudato Si.

 

In questo nostro tempo, la “conversione ecologica” è proprio un altro sguardo e progetto, rispetto alla burocratica e monetaristica “transizione ecologica”. Perché quell’Enciclica, che alcuni attivisti di Ultima Generazione mi hanno raccontato leggere nel tempo delle lunghe ore di fermo nelle Questure italiane, in attesa di essere rilasciati con denunce e fogli di via, non è un libro, né un manuale, tantomeno un saggio. Ma per un cattolico è un documento di spiritualità e catechesi.

Nella quiete di questo cortile di un’Assisi già piena di turisti, pellegrini, gite scolastiche, intorno a qualche panchina di legno, posta a circolo, si sono dati appuntamento i temibili “vandali”, “barbari”, “ecoterroristi” (fermandoci alle aggettivazioni più “gentili”) del movimento per la giustizia climatica Ultima Generazione, e i miti animatori cattolici del movimento internazionale, anche questo per la giustizia climatica, nato sullo stimolo dell’Enciclica: laici, preti, parroci, suore e frati; giovani, meno giovani, anziani.

 

Una chiacchierata di conoscenza reciproca e condivisione di tematiche, che inizia non con l’imbrattamento di qualche monumento ma con una preghiera introdotta da fratel Carlos, francescano di origini amazzoniche, che tra qualche settimana, tornerà nella regione di nascita, per dirigere una parrocchia-missione di circa 43 mila abitanti.

 

Seduti in tondo, a giro, ci si presenta, e ancor prima che strategie, vengono fuori le vite. Di persone dalla quotidianità normale, e con stili di vita fortemente regolati da un condiviso valore di etica pubblica. Pervasi da una forte carica spirituale, e da una forte spinta ideale e valoriale.

Due mondi apparentemente lontanissimi, ma che proprio in questa stagione, si trovano a promuovere le stesse richieste ai decisori politici dei governi, nazionali e internazionali.

 

Ognuno con un suo stile e metodo, ma uniti da una sola missione: quella di salvare “la Casa Comune in fiamme” (come la chiama il Movimento di papa Francesco) o di salvare il genere umano, e con esso il pianeta, da una estinzione dolorosa e quanto mai prossima, considerati anche i dati scientifici usciti il 20 marzo dal rapporto IPCC dell’ONU (Urgent climate action can secure a liveable future for all), che prefigurano un’accelerazione della catastrofe climatica in corso, complici anche i rimandi scellerati e le omissioni irresponsabili della politica dalla necessità di scelte radicali, non più rinviabili.

 

Non paghiamo il fossile” è la campagna promossa da Ultima Generazione, Scientist Rebellion e Veglie contro le morti in mare, per lo stop ai sussidi pubblici a tutti i combustibili fossili (SAD). Denaro pubblico, che solo per l’Italia nel 2021, ha significato 41,8 miliardi di euro. A cui sono legate le azioni di disobbedienza civile, come la recente, e mediaticamente eclatante, di Palazzo della Signoria a Firenze. Ingigantita dal protagonismo, all’istante fortuito, e dopo qualche minuto politicamente ragionato, del sindaco Dario Nardella. Come durante l’incontro ha commentato un esponente del Movimento Laudato Si, “senza che il Sindaco improntasse tutta la sceneggiata sul consumo d’acqua per ripulire palazzo, sarebbe bastato aspettare che piovesse, trattandosi di pittura lavabile”. Già, va ricordato che nel Maggio del 2017, quando Nardella decise di usare gli idranti contro i bivacchi dei turisti in centro, non stette a calcolare i litri d’acqua consumati. “Certo – ha sottolineato uno dei presenti – tutto un altro stile rispetto a quello che era il profilo istituzionale e personale del sindaco “santo” Giorgio La Pira”.

 

Ma anche il Movimento Laudato si’, per il cammino spirituale e comportamentale della Quaresima, spiazzando per primi molti cattolici poco sensibili ai temi ecologici e non ancora in cammino verso la conversione ecologica, ha lanciato la campagna del Digiuno dal gas“, invitando a scelte personali e familiari sobrie. Scegliendo il tempo quaresimale, caratterizzato dal colore liturgico viola, come punto di partenza per disinvestire dai fossili. Proponendolo per primo alle diocesi e parrocchie italiane, e invitando tutti gli aderenti al Movimento, tramite email e lettere, a chiederlo ai parlamentari e al governo.

 

È stata la Direttrice dei Programmi europei del Movimento Laudato Si’ e Responsabile dei programmi in Italia Cecilia Dall’Oglio, con una importante intervista sull’Osservatore Romano del 23 febbraio, a lanciare un appello al mondo cattolico e alla politica a “disinvestire dalle fonti fossili, quale testimonianza di prossimità verso i nostri fratelli e sorelle che resistono nei rifugi, sotto i bombardamenti, al fronte, senza elettricità al freddo in Ucraina e a fare il digiuno dal gas: abbassando la temperatura dei riscaldamenti in casa, usando con parsimonia l’acqua calda o valutando impianti di riciclo dell’acqua stessa, consumando cibi freddi o cucinati senza l’ausilio del gas; verificando l’efficienza di finestre e infissi e magari decidere di sostituirli o di inserire materiali di isolamento termico che. “Ma è un gesto – spiega il Movimento in un documento – che vuole anche essere denuncia di come l’industria dei combustibili fossili, il suo potere economico sproporzionato, l’influenza politica e la natura distruttiva delle sue attività, hanno portato ad una connessione frequente tra l’estrazione di combustibili fossili, la sofferenza umana, la distruzione del Creato ed il conflitto. Con questo gesto simbolico vogliamo fare la nostra parte con stili di vita sostenibili per una transizione energetica più equa. Abbiamo compreso quanto siano importanti l’essere liberi da un’economia che uccide e saccheggia, e il costruire un’economia di pace attraverso la transizione ecologica ed energetica”. “Perché la politica – interviene fratel Carlos – oramai ha interesse esclusivo per la finanza”.

 

Anche la disobbedienza civile nonviolenta, è l’altro valore che fa rappresenta terreno di incontro tra i due movimenti. Quella disobbedienza stile di vita, appartenuta a tante figure profetiche della Chiesa cattolica; don Lorenzo Milani fu processato per apologia di reato a seguito della sua “lettera ai cappellani militari della Toscana”. Lo stesso Gesù Cristo, senza fare sacrileghe interpretazioni dottrinali, è stato in fondo tra i più grandi disobbedienti della Storia…

 

Si, questo cortile del centro di Assisi, con queste donne e uomini, giovani e più maturi, laici e consacrati, evoca molto quel cortile della Canonica di Barbiana, sperduta tra i monti del Mugello, dove Don Milani faceva scuola ai figli dei montanari, che la società e la scuola del tempo marginalizzavano ed escludevano. Fanciulli e adolescenti, che siccome avevano capito che conoscere più parole possibili era opportunità di riscatto ed emancipazione, ancora a venire il tempo del genitore che porta fin dentro l’aula il figlio con il Suv, facevano chilometri a piedi sotto la neve, pur di andare ad ascoltare e imparare dal maestro don Lorenzo; consapevoli per esperienza quotidiana, senza l’orientamento di alcun influencer, che “la scuola è sempre meglio della merda”.

Qui ad Assisi, se mai finora qualcuno possa aver pensato e indotto a pensare, che tra queste due esperienze non ci sia nulla in comune e da condividere, è caduto ogni alibi, pregiudizio, sospetto.

 

Questo sabato della quinta settimana di Quaresima, Alex Langer, sarebbe molto sollevato nel vedere come, malgrado tuttoqueste persone non ci riescono proprio ad essere tristi, ma al contrario alla fine dell’incontro si congedano con abbracci e sorrisi.


* pubblicato su comune-info.net il 29 marzo 2023



lunedì 1 gennaio 2024

LA GUERRA "FUORIPORTA" *

«(…) penso alle mamme, che ricevono la lettera “signora ho l’onore di dirle che lei è mamma di un Eroe, questa è la medaglia”… la lettera e la medaglia… ma il figlio non c’è più… questo a me fa soffrire tanto»
(papa Francesco, 13 marzo 2023)

Quando il 546 Atac che attraversa questa periferia romana mi “sbarca” alla fermata Boccea/Torrevecchia, a pochi passi dal Grande Raccordo Anulare, intravedo subito, pur ancora distanti, due strutture che si distinguono dalla classica edilizia residenziale di questa zona: la cupola bianca della Basilica di Santa Sofia, e un tendone da circo, in un prato limitrofo alla chiesa.

La Basilica di Santa Sofia, così decentrata dalle “chiese importanti” della Capitale, e unica per disegno architettonico, è stata costruita tra il 1967 e il 1969, con i fondi raccolti dall’Arcieparca Josyp Slipyj, e inaugurata e consacrata alla presenza di Paolo VI. Josyp Slipyj, ucraino, subì come molti cattolici ucraini e russi, le persecuzioni del regime sovietico. Fu deportato nel 1945 in un gulag, e venne liberato nel 1963 da Chruščëv, in seguito alle pressioni politiche esercitate da papa Giovanni XXIII e da JF Kennedy. È noto che lo stesso Chruščëv, al momento della richiesta pontificia, rimase sorpreso del fatto che l’Epiaparca fosse ancora vivo.

Santa Sofia in Via Boccea a Roma, legata spiritualmente e per rito Cattolico-Bizantino alla Basilica di Agía Sofía a Istanbul e alla Cattedrale di Svjatoï Sofiï a Kiev, è la Chiesa nazionale a Roma degli ucraini.

La Basilica all’interno è molto bella, l’iconogragfia tutta a mosaico rievoca scene bibliche, Santi e Patriarchi della Chiesa d’Oriente. È difficile non lasciarsi trasportare dalla liturgia della messa che sta celebrando secondo il rito orientale don Giovanni, sacerdote ucraino originario di una cittadina vicino il confine polacco, ma da qualche anno in Italia, e in servizio spirituale, oltre che a Roma, anche a Follonica, in Toscana.

“Mi è impossibile staccare il pensiero da quello che accade da oltre un anno – mi racconta al termine della celebrazione – anche perché ho una App sul telefono che mi avvisa ogni volta che nella mia città scatta l’allarme aereo. Per cui è come se mi trovassi sempre lì.” Con lui a Roma, ci sono la moglie e due figli che da poco vanno alla Scuola Primaria, ma il resto della sua famiglia è in Ucraina.

Sono 147 le comunità religiose ucraine in Italia, con 87 sacerdoti. Che fanno di Santa Sofia un punto di riferimento fortissimo anche organizzativo, e non solo spirituale.

Il Rettore della Basilica è don Marco Jaroslav Semehen, in Italia dal 2005 per studiare teologia e per consacrarsi sacerdote. “La guerra è iniziata dal 2014, con il Donbass e la Crimea – spiega misurando le parole, e non solo per ragioni di pronuncia linguistica – ed è una storia molto complessa e dolorosa, difficile da giudicare da qui. Al di là delle notizie che arrivano a noi dall’informazione, non si sa realmente quanti morti già ci sono stati, e quanto la guerra durerà”. Don Marco non è ottimista, e su questo ha un parametro di valutazione inconfutabile: quello dei disegni dei bambini ucraini. “Se nel primo periodo seguito all’inizio della guerra – spiega – i disegni fatti dai bambini erano a colori, ora la loro dinamica espressiva è sempre meno colorata e la grafica sempre più cupa; segno che la speranza che il conflitto finisca presto è sempre minore”.

Si ferma poi per delle parole di affetto verso una signora che era prima in chiesa per la messa. “Lei è in Italia da qualche anno – mi dice – ma ha un nipote di vent’anni che dall’inizio della guerra, sta combattendo nella zona di Bucha, e lei viene tutti i giorni qui a pregare”. Intanto mi porta a vedere i locali interni della parrocchia. “Vedi questo corridoio e queste stanze? – indica – Nelle prime settimane a seguito del 24 febbraio del 2022, erano talmente piene di aiuti, donazioni, materiali per il popolo ucraino che arrivavano da tutta Italia, che gli scatoloni toccavano il soffitto e si riusciva a malapena a passare”.

Grande è stata la solidarietà degli italiani, da subito, e la Basilica di Santa Sofia è diventato lo snodo logistico cruciale per la raccolta e la spedizione degli aiuti. “Nelle prime settimane partivano da qui per l’Ucraina quattro Tir di aiuti umanitari al giorno – racconta Don Marco – e anche adesso, un camion o due a settimana parte sempre”. In quel periodo vennero qui, a dare la loro solidarietà, sia il sindaco di Roma Gualtieri, che il presidente della Repubblica Mattarella.

A questo punto, accompagnato dal Rettore, scopro la funzione di quel tendone circense che avevo avvistato sceso dall’autobus. Qui non c’è mai stato un circo, ma il tendone era, ed è tutt’ora funzionale al deposito e alla selezione del materiale donato da tanti soggetti, singoli e organizzati. “C’è stato un concorso di solidarietà inimmaginabile in questi mesi – dice il sacerdote – sono venuti ad aiutarci migliaia di volontari anche di altre religioni, perfino musulmani e buddisti; un gruppo di Scientology di Roma è stato qui ad aiutare per diverse settimane”.

Anche stamattina all’interno del tendone c’è una signora ucraina che sistema, selezione e separa per merceologia, le donazioni arrivate. Perché poi possano essere pronte negli scatoloni per la prossima spedizione; ma anche per dare qualcosa, indumenti, piccoli elettrodomestici, mobilio e altra oggettistica, a quelli che dalla guerra sono riusciti a scappare ed arrivare in Italia.

Perché poi, quando sei qui, la guerra si sposta da internet e dalla televisione, e la vedi “in presenza” appena fuori dal tendone. È la guerra di quelli che sono fuggiti, donne giovani e anziane, bambini, qualche uomo renitente all’arruolamento obbligatorio dai diciotto fino a sessant’anni, che con qualche espediente è riuscito a passare il confine. La guerra ora la vedi nella loro fisiognomica; le facce stanche, preoccupate, gli sguardi persi e distratti, gli occhi che si arrossano quando don Marco spende una carezza e una parola per ciascuno. Loro sono qui che aspettano; stamattina un pacco di generi alimentari che la Caritas distribuisce quotidianamente; e h24 quel whasapp, telegram o sms delle persone a loro care che sono rimaste in Ucraina. Sperando sempre che non ritardi dalla consuetudine di invio quotidiano. Perché anche il minimo sfasamento orario, produce un picco di angoscia.

Quando ti guardano, e ti ricambiano un sorriso e un saluto, perché più di questo non riesci a fare e dire, come disorientato da questa situazione, allora vedi e senti tutto: le bombe, gli spari, il fumo, il freddo, il terrore.

Ogni news, diretta internet, analista geostrategico che ti spiega, diventano inutili, banali, superflui. La guerra qui te la spiegano, senza parlare, queste persone in fila davanti la tenda della Caritas, a qualche centinaio di metri dalla rampa del Grande Raccordo Anulare. Nel cortile di una Basilica orientale, inserita nel contesto edilizio e urbanistico della città di Roma, come una navicella spaziale in una foresta incontaminata.

L’aria che tira te la sintetizza don Marco: “Vorrei tornare in Ucraina, anche per vedere qualche ora i miei familiari. Ma se rientro adesso non tornerei più in Italia; perché c’è l’obbligo di arruolamento anche per i sacerdoti, e se mi rifiuto verrei considerato disertore e c’è la legge marziale.

In questi profughi d’occidente stremati, così come nei loro sacerdoti, si percepisce solo la speranza che la guerra finisca e torni la pace. Parola che in questi tredici mesi, è stata bandita dal lessico della politica, quasi fosse un’espressione oscena. Che, paradossalmente, è rimasta solo sulla bocca di papa Bergoglio. Il quale, nel giorno del decimo anniversario del suo “trasgressivo” pontificato, in un podcast per Vatican News, dice “per i miei dieci anni da papa, regalatemi la pace”. “L’obiettivo non è di raccogliere informazioni o saziare la nostra curiosità, ma di prendere dolorosa coscienza, osare trasformare in sofferenza personale quello che accade al mondo, e così riconoscere qual è il contributo che ciascuno può portare”, scrive sempre papa Francesco nella Laudato Si’.

Venire a conoscere questa realtà ai “bordi di periferia” romani, riesce davvero a trasformare in sofferenza personale quello che, dal 24 febbraio dell’anno scorso, sta vivendo la popolazione civile ucraina.

*pubblicato su comune-info.net il 23 marzo 2023